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Ragione e sentimento (Jane Austen)

A cura di: Aldo Putignano


L’opera: In seguito alla morte del signor Dashwood, la signora Dashwood si trova costretta a lasciare Norland Park per i frequenti contrasti con Fanny, moglie di John, figlio di prime nozze del defunto. Trasferendosi al Burton Cottage con le figlie, su invito del cugino, inizia per loro una nuova vita, densa di incontri, in specie per Marianne, fatalmente attratta dal bel John, a scapito del più maturo colonnello Brandon (ndr: mi rifiuto di considerare anziano un trentacinquenne, né m’importa che Marianne dichiari di pensarla così). La primogenita Elinor ha invece lasciato a Norland il caro Edward, al quale si stava legando ogni giorno di più: sia lei che Marianne coltivano amori e raccolgono illusioni, ma qualcosa è destinata a cambiare. C’è poi anche una terza sorella, Margaret, ma potrebbe essere un errore di battitura.


Il personaggio: In ogni caso una donna, né potrebbe essere altrimenti. Allora magari Elinor e Marianne cui faceva omaggio il titolo originario, ma in fondo anche il nuovo. Il Senseinfatti è la percezione umana, immediata e diretta, che si è composta in misura per diventare norma di vita, buon senso, ed è impersonato da Marianne, mentre Elinor è Sensibility, quel lieve smottamento che conduce, la fragile consapevolezza che nasce dall’acquisizione di un dato e dalla sua sperimentazione su di sé: Sense e Sensibility dunque, il punto d’arrivo e il percorso per raggiungerlo, perennemente in dialogo. Nulla può far più torto a Jane Austen della pessima traduzione italiana Ragione e Sentimento che mette in luce i punti estremi del tragitto e non il loro mutuo accompagnarsi: non c’è qui alcun contrasto, non ci sono figurine stagnanti ma persone vive.

Si potrebbe allora proporre un personaggio più debole, come la signora Dashwood, che divenuta, per il suo ruolo di madre, una donna di seconda generazione (quindi meno plasmabile e interessante delle giovani figlie) non può far altro che rivendicare il suo ruolo pur di acquisire un diritto a esistere. O, uscendo dal libro, si potrebbe proporre la stessa Jane Austen, che conquistando una nobiltà letteraria e ricavando da essa una stabilità economica, ha sfidato l’uomo nel suo campo e si è candidata a modello pedagogico anche più forte delle sue stesse eroine.


Perché leggerlo: Per l’affabulazione, naturalmente. E perché nella sua esibita semplicità, e le sue semplificazioni, ci racconta come, in fondo, siamo anche noi più semplici di quel che siamo soliti pensare.


Revisione a cura di: Martina Megna

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