Lo trovai seduto scomposto, rannicchiato, con le gambe appoggiate a una ringhiera. Le braccia, sottili e nodose, che le cingevano. Il cappello da pescatore, la polo scolorita, i mocassini: indossava roba vecchia, da vecchio.
Sembrava un bambino.
Avevo scoperto il suo segreto. Non poteva sospettarlo. Lo conoscevo da dieci anni, ma pochi giorni prima, gli chiesi per la prima volta di giocare. «Dovresti fartene costruire una anche tu» – mi suggerì, mentre sfoderava la sua enorme racchetta dal piatto triangolare.
Era ormai diventato un rito, per l’élite delle Accademie tennistiche. Poco prima di compiere 12 anni, i ragazzi più promettenti venivano selezionati per sfidare Erri, cui veniva pagato il viaggio da San Benedetto a una località che non avrebbe potuto scegliere.
Tutto ebbe inizio, si dice, quando per puro caso si ritrovò a palleggiare con il piccolo Boris Becker, in vacanza al mare nelle Marche: fecero partita, Erri vinse 6-1 6-0. Il futuro Boom Boom era già il maggior prospetto di Germania. La voce si sparse in tutto il mondo: quei colpi sghembi avrebbero plasmato le nuove generazioni di campioni.
Erri si sistemò i calzoncini, iniziammo a palleggiare. Non sapeva che io sapevo, e mi venne da sorridere pensando a quanto i suoi rovesci sgraziati, le sue anomale rotazioni avessero scherzato con la Storia del tennis, accarezzandola in modo clandestino nell’arco di tre decenni.
La differenza di età mi permise di lottare. Il campo era libero, giocammo tre ore: vinse lui al tie-break del terzo set, e ne fui felice. Ero in ottima compagnia: Pete Sampras, Roger Federer, Rafa Nadal.
Tutti sconfitti, più o meno nettamente, a tempo debito. Tutti, tranne uno.
Non l’avevo mai visto in compagnia di una donna, o di amici al di fuori del Circolo. La sua ironia sottile e feroce non gli concesse mai un sorriso: sembrava sempre concentrato, ma su cosa?
Erri aveva un volto triste, e non capivo perché. Al Circolo, mi dissero che non superò la morte precoce di sua moglie. Anche se non gliene parlai mai, provavo pena e dolore per lui, l’avevo a cuore: per questo fui contento di conoscere la verità. Erri non mandò mai giù la sua unica sconfitta.
L’insospettabile custode del sacro fuoco del tennis non riuscì a difenderlo da un ragazzino serbo. «Conosce il dolore, per questo mi fregò» – farfugliò, allontanandosi con la racchetta sottobraccio.
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