Ha ancora tutti i graffi del torneo precedente.
Le ultime partite le ha affrontate in panico totale, tuffandosi e lanciandosi a mezz’aria come se stesse giocando a racchettoni sulla sabbia.
I cronisti televisivi lo hanno preso per pazzo: c’è qualcosa che non va, hanno detto.
Robe da squilibrato tipo caricare la seconda come una prima, anzi di più.
O sparare delle bombe all’angolino e prendere a calci palle destinate a uscire.
Schemi saltati, scendere in campo come se si fosse ubriachi.
Gioco spumante o follia?
È un pomeriggio di primavera, qui, nei campi in terra affacciati su un mare calmo e brillante, venato dei riflessi bianchi di nuvole che viaggiano verso est.
È così tardi che hanno già acceso i riflettori e, da qualche parte, un ristorante spande nell’aria profumi di cene a casa, di relax.
In questi mesi ha perso tutti gli sponsor e il suo allenatore ha cambiato pupillo: l’unico amico che gli è rimasto è questo robot, che spara palle una dopo l’altra con l’umiltà di un aiutante solerte.
Colpirle con gli occhi lucidi di lacrime, come se ogni volta fosse un addio.
Come se ogni punto, ogni passante a incrociare, ogni rovescio a due mani non facessero altro che portarti via.
Il berretto girato, la polo fradicia, le scarpe sporche di terra. L’aria fredda che scende dalle alture e increspa la superficie del mare.
Qualche addetto ai lavori passa veloce di lato al campo: sarà la sua impressione ma sembra che tutti lo fissino con una sorta di commiserazione.
Che tutti pensino di lui: povero pazzo.
E così le lacrime, e così gli occhi umidi, una palla dopo l’altra.
Eppure, non è successo niente.
Forse.
Tra uno sparo e l’altro del robot, sente il rumore di un trolley trascinato sulle piastrelle del tennis club.
Si volta, lasciando che la macchina sputi un paio di colpi a vuoto.
Ma non è lei.
Forse non lo sarà mai più.
Le lacrime scorrono. Sulle guance.
Piovono. Sulla terra.
E, insieme a loro, tutte le parole che avrebbe dovuto dirle, quella notte.
Che è solo un ragazzo con una vita più intensa di quella a cui era abituato.
Che è tutto diverso da queste parti, fuori dal campo.
Una partita difficile che non ha mai imparato a gestire.
Sarebbe bastata una semplice frase, in fondo.
“Sei solo tu quella che amo”.
L’ha pensata così forte da dirla ad alta voce.
Ma forse adesso è troppo tardi.
“Lo so” risponde lei.
Il ragazzo si volta, il batticuore, le mani che stringono la rete di quella che fino a un attimo fa sembrava una prigione.
Dall’altra parte, persone ancora libere. E lei.
Lei che sorride.
“Mi sono ricordata che sta cominciando la stagione della terra rossa. Come quando ci siamo baciati la prima volta. Le pizze per strada e le pagine illuminate dal sole. E poi le interrogazioni a scuola, i tramonti a primavera e tutto quel profumo nell’aria. Così ho pensato che, forse, anche se tra noi sembra over, dovevo dirti una cosa”.
Da una parte all’altra della rete. Dentro e fuori dal campo. Insieme.
“Spaccali tutti, domani, amore.”
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