di Giancarlo Marino
Non bisogna necessariamente aspirare a divenire novelli Foster Wallace per seguire un corso di scrittura. Partecipo ai laboratori di Homo Scrivens, prima come semplice “bottegaio”, oggi come docente, da quasi vent’anni e ho capito che ci sono tantissime e diverse ragioni per prendere parte a un laboratorio di scrittura creativa.
Innanzitutto, occorre soffermarsi su questa definizione, su queste tre parole “laboratorio”, “scrittura” e “creativa”. Troppo spesso si cade nell’equivoco che in questi corsi si insegni e si dovrebbe imparare a “scrivere”: per quello, come dice il mio collega e maestro Aldo Putignano, il coordinatore di Homo Scrivens, c’è la scuola elementare. Un corso di scrittura dovrebbe fare qualcosa di più, e qui veniamo all’altra parola della nostra definizione: “laboratorio”.
In tutti i corsi Homo Scrivens, a cominciare dalla Bottega della scrittura, la dimensione pratica è fondamentale: certo è importantissimo imparare a “leggere criticamente” un testo così da carpirne segreti, trucchi e tecniche di scrittura; ma ciò non basta, la scrittura creativa, come tutte le arti, è un lavoro fondamentalmente manuale, fatto di esercizi, tentativi e confronti. Insomma quella dimensione artigianale molto concreta che troppo spesso viene nascosta da parole che si ammantano di astrattezza quali “talento” e “ispirazione”.
La scrittura in generale, e quella “creativa” in particolare (e qua veniamo al terzo termine della nostra definizione) è semmai “aspirazione”: aspirazione a un traguardo che ancor prima che editoriale o commerciale è personale, se non addirittura esistenziale. Si compie arte, si “fa” un libro, un quadro o una rappresentazione teatrale per un’urgenza espressiva, per esprimere la propria interiorità, per colmare una distanza, rispondere a un’urgenza di comunicazione. Se è vero sempre che esiste un lettore ideale, anche, ad esempio, quando si scrive il proprio diario personale, benché sottinteso, ciò è ancor più valido quando si scrive un racconto o un romanzo.
Questa affermazione può apparire paradossale se consideriamo il fatto che quella della scrittura è, tra le arti, forse l’attività artistica apparentemente più solitaria, sicuramente molto di più di quando si compone e si esegue musica in un’orchestra classica o in un complesso rock; ciò vale a maggior ragione se si pensa a casi quali il cinema o il teatro, dove il “prodotto artistico” necessita del concorso di innumerevoli figure artigianali differenti. Ma in qualunque campo, l’arte esprime sempre un bisogno di comunicazione da un io all’altro. E questa dimensione collettiva è alla base di Homo Scrivens che vanta ben due primati in tal senso: è la prima compagnia italiana di scrittura, nata proprio intorno a un laboratorio ormai quasi vent’anni fa; ed è anche l’unica casa editrice italiana ad avere una collana, Polimeri, interamente dedicata alla scrittura collettiva.
Naturalmente, questa istanza espressiva personale può avere le più svariate ragioni, e innumerevoli sono i “tipi umani” che si possono incontrare tra i discenti di un corso di scrittura. Da chi aspira a far diventare la propria passione una professione a chi vuole passare semplicemente un pomeriggio interessante, non diversamente se facesse un torneo di burraco. Lungi di ma dare un giudizio di valore, ma se proprio dovessi emettere una sentenza, non avrei dubbi sul dire che la migliore ragione per partecipare a un corso di scrittura, ma direi meglio il più valido motivo per scrivere è: perché diverte.
Il divertimento, quella che si potrebbe definire la dimensione ludica dell’arte, non è un qualcosa da biasimare, anzi. L’ansia da prestazione, la filiera industriale della cultura in generale e dell’editoria in particolare, troppo spesso mettono in ombra questa istanza primigenia sottesa a qualsiasi forma d’arte. Non si tratta di una semplice distrazione, ma di un “divertimento” in senso etimologico: ciò che diverge, che si allontana da una norma prestabilita, quella della routine quotidiana, dei lavori e degli affanni di ogni giorno. Ecco, un corso di scrittura creativa, è o almeno credo dovrebbe essere, un tempo altro; e tra i maggiori compiti affidati a un docente di scrittura vi è proprio insegnare la gestione del tempo: chi vuole scrivere deve innanzitutto imparare a usare il proprio tempo, ritagliandone un segmento, magari quotidiano, da dedicare alla scrittura. Un corso, o per dir meglio un laboratorio, deve mettere a disposizione di chi lo segue, o per dir meglio lo “pratica”, gli strumenti per preparare un antidoto contro la pigrizia, quello spettro indolente che alligna in ogni artista, o per meglio dire “artigiano”.
Se poi questi distillati alchemici e narrativi si trasmuteranno in capolavori immortali, grandi amicizie, o semplicemente in un paio d’ore divertenti a settimana, è tutto sommato un fattore secondario.
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