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Tempo di uccidere (Ennio Flaiano)

A cura di: Stella Amato


L’opera: Scritto nel 1947 su richiesta dell’editore Longanesi, fu il primo romanzo vincitore del premio Strega. Flaiano, a distanza di dieci anni dalla sua esperienza di guerra in Etiopia, racconta il conflitto attraverso il rimorso, scegliendo un punto di vista interiore e personale, ma anche universale. Scrittore dalla vena ironica e satirica, sceneggiatore, giornalista in grado di cogliere gli aspetti più grotteschi della realtà, Ennio Flaiano dopo questo non scriverà più romanzi.


Il personaggio: Un tenente dell’esercito italiano in Etiopia, afflitto dal mal di denti, si mette alla ricerca di un dentista, ma il camion su cui viaggia si ribalta e i soccorsi arriveranno solo dopo giorni. Allora s’incammina da solo, attraverso sentieri di terra battuta, carcasse di animali, caldo e siccità. Lungo la strada incontra una giovane donna che si lava in una pozza d’acqua. Ne è attratto e, consapevole dell’impunità che l’essere un colonialista bianco gli concede, la possiede. Lei non si ribella, è restia, ma docile. Non si comprendono, ma qualcosa nel profondo li unisce. Lui resta lì, lei gli sta vicino. Poi una notte, credendo di sparare a un animale ferisce la ragazza. Incapace di assistere alla sua agonia e temendo le conseguenze del suo gesto la uccide e si allontana. Scosso dal rimorso, ma incapace di affrontare la sua responsabilità mentirà, ruberà, cercherà di uccidere ancora una volta e poi si rifugerà sull’altopiano, dove scoprirà che forse la ragazza era una lebbrosa e che potrebbe averlo contagiato. Alla fine tornerà in Italia, senza conseguenze per le sue azioni, ma con l’anima rosa dal rimorso e dalla paura.


Perché leggerlo: Perché parla senza retorica della guerra e dell’animo umano o, per dirla con le parole dello stesso Flaiano: «forse non si tratta più di lebbra, si tratta di un male più sottile e invincibile ancora, quello che ci procuriamo quando l’esperienza ci porta cioè a scoprire quello che noi siamo veramente. Io credo che questo sia non soltanto drammatico, ma addirittura tragico».


Revisione di: Martina Megna

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