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Apologia del libro di carta


di Luigi Mansi




Bella era la sensazione quando arrivava come pacchetto regalo. Il nastro, piatto largo luccicante, trasparente e dorato, era così pieno di bellezza che cercavo di non romperlo: dopo averlo tolto con delicata attenzione lo piegavo, bloccandolo con una manovra a cappio che non sempre riusciva, e lo mettevo in un cassetto con mille altri, alcuni eredità dei vassoi di dolci che mio padre comprava la domenica; avrei potuto scegliere, a seconda del colore e delle dimensioni, quello da usare quando mi sarebbe servito. Bello era il pacchetto e la carta che lo contornava.

Ricordo l’incredibile carta di Gaetano Colonnese, usata a far diventare regali dedicati, ognuno solo alla persona che l’avrebbe ricevuto, le sue bellissime pubblicazioni. Una volta portai un suo libro a un amico americano e lui rimase un tempo indeterminato a guardare la confezione, quei membri virili nati su antichi atlanti di anatomia, che facevano compagnia a mille preziose immagini, bellissime nel chiaroscurale bianco e nero. Ed eccolo il libro, gradito regalo, ma ancora più gradito quando lo compro da solo.

La scelta, dettata dall'emozione, è attivata dal trovare un volume che incuriosisce per il titolo, la copertina, l’autore, il contenuto, per il prezzo, perché quel libro è un’occasione “unica”, costa poco e non posso non comprarlo. Amavo la copertina grigia della BUR, polverosa anche quando il libro era nuovo. Ed era una miniera, con quel Melville che non conoscevo, Chateubriand, non solo una bistecca, con il Candido di Voltaire che non avevo ancora letto.

Mi affascinavano e continuano a eccitarmi (apposta voglio usare questo termine fisico) la copertina e la qualità della carta, le pagine intonse, che avrei aperto con un tagliacarte finalmente utilizzato ad hoc, l’odore e lo stato di conservazione, che a volte mi facevano e mi fanno preferire i libri rimasti nascosti negli scaffali per un numero inimmaginabile di anni. Libri nuovi o usati, o anche libri vecchi ma ancora incellofanati, nuovi o antichi, ma comunque libri di carta.

Amo i libri di carta anche solo per il lussurioso atto del comprarne cinque e più insieme, senza sapere quando li leggerò, senza avere saputo prima quelli che avrei scelto.

Esistono differenze tra un libro di carta e un e-book (non trovo un termine migliore in italiano per definirlo)? Vi parlerò quasi da scienziato, se posso definirmi tale.

Non è assolutamente vero che sia la stessa cosa leggere un libro su supporto cartaceo o informatico, e certamente l’e-book ha enormi vantaggi. Quando prendi un aereo per le tue vacanze e le tue vacanze sono anche nel leggere dieci libri per rilassarti, informarti o addormentarti senza abbandonarti alla televisione che impigrisce, avere cento volumi in un contenitore di un chilo non ha prezzo (e non ha i costi del bagaglio in eccesso che le compagnie aeree ci costringono a pagare). Per non parlare del peso insostenibile delle valigie piene di libri quando l’ascensore è rotto e siamo costretti a fare le scale. E poi l’e-book permette di aumentare il contrasto e le dimensioni del carattere, diventando quasi obbligatorio per noi vecchietti quando gli occhi cominciano a chiederci aiuto. E si trova subito quello che cerchi, si possono trovare e comprare online in un minuto tanti libri.

Ma sono libri che rimangono lì, in quella scatola di acciaio, senza diventare biblioteca o libreria, senza attirare l’attenzione per i dorsi messi in un ordine quasi sempre improbabile e senza logica. Senza riuscire a nascondersi, per essere ritrovati per caso, come il libro di carta che non ricordi dove avevi messo, anche se eri sicuro che doveva essere proprio là.

Continuo a preferire il libro di carta per motivi non legati solo alla nostalgia, ma anche ai meccanismi fisiologici che stanno alla base di una lettura su supporto cartaceo rispetto a quella su libro elettronico. Quando si legge un libro di carta, entrano in gioco o si attivano in modo più significativo le attività sensoriali (e in parte minore quelle motorie).

Si parte dal piacere complessivo, che quasi fa aumentare la salivazione, quando vedi un libro per la prima volta o lo ritrovi dopo tanto tempo, quando lo riprendi il giorno dopo, dopo averlo messo da parte la sera prima alla fine di un capitolo che ti aveva lasciato qualcosa da aspettare. Ma se questo si esalta nel libro di carta, essendo presente anche per l’e-book, è comunque solo l’antico strumento che mette in gioco un più ampio numero di connessioni sinaptiche. Alcune sono fisiche, attivate anche dagli apparenti difetti del contenitore cartaceo, che ha una temperatura e non è freddo metallo; questo si amplifica nella nascita di un contatto tra me lettore e il libro che ho tra le mani, anzi nelle mani. Inizio a leggere e la vista spazia più ampiamente, senza i limiti della pagina computerizzata, con gli occhi che hanno vie di fuga più ampie, caratteri grafici e contrasto che creano maggior motivo di acuire la vista, elementi di disturbo che per assurdo aumentano l’attenzione.

Andare avanti e indietro, fare fatica a rintracciare l’ultima pagina letta crea tensione (positiva? negativa?) che cresce nell'attesa, che si arricchisce della gioia quando si ha successo, che stimola i neuroni che ti fanno riflettere sul fatto che forse eri andato più avanti nella lettura ieri sera, prima di addormentarti, che ti fa fermare, andare avanti e indietro, entrare in un movimento di lettura jazz, talora sincopato, fluido ma non troppo.

Il senso che mi da più libidine è il tatto. Toccare un libro, soprattutto se la carta è rugosa, magari di colore avorio perché anche il colore può diventare tatto, è emozione esclusiva. E andare avanti e tornare indietro per cercare il nome di un personaggio che avevo dimenticato o il rapporto tra il protagonista e un comprimario, avere difficoltà a trovarlo è stimolante. In questa azione si attiva anche l’udito, sento il fruscio della carta, quasi silenzioso ma comunque abbastanza alto per entrarmi nel cervello a stimolare neuroni. E c’è l’olfatto, l’odore della carta nuova o della carta antica, l’odore della polvere che da fastidio e mi tiene in tensione, pronta a farmi starnutire.

Perché, diciamolo con chiarezza, io preferisco l’imperfezione, che è meno asettica e più unica, il calore del libro di carta con il quale mi posso addormentare sentendolo come oggetto vivente, non come freddo metallo robotico da allontanare.

Ed è forse questo infine che amo, la posizione che assumo mentre leggo: seduto, in piedi, sdraiato, su un fianco, a pancia sotto o sopra e in tutte le posizioni nelle quali mi trovo a voler leggere e posso farlo. Pensate a quanto è più piccolo il numero di posizioni che posso usare con il computer.

Per non parlare della bellezza di una libreria o di una biblioteca, di una scrivania piena di libri, della manipolazione come azione che definisce l’uomo, con la mano che si muove come quella di un uomo di mille anni fa, non come quella che sta perdendo le gerarchie tra pollice e indice, che sta creando confusione nell'attivazione dell'homunculus cerebrale che si è filogeneticamente costituito attraverso l’evoluzione millenaria che è anche figlia dei milioni e milioni di uomini che hanno letto libri di carta.

Non ci sono dubbi, continuo ad amare e amerò sempre i libri di carta.

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