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Homo Scrivens

Anteprima Poetica - Johanna Finocchiaro



Johanna Finocchiaro - Nasce a Torino nel settembre 1990. Dottoressa in lingue, adora viaggiare sopra ogni cosa, con la mente ancor prima che col corpo. Spirito solare, si dedica alla creatività con entusiasmo e grinta: scrittura, musica e fotografia. Impegnata nella diffusione della Poesia, gestisce uno spazio radiofonico su ABC Radio e una rubrica settimanale sul periodico Torino Oggi. Nel 2020 pubblica la sua prima silloge, Clic (L’Erudita Editore). Fa parte del gruppo lirico dei Poeti Emozionali (www.poetiemozionali.it), del Circolo delle Poetesse oltre ad essere membro delle Associazioni Culturali “Vivere d’Arte” e “Poesie Metropolitane”.


Uno più uno fa uno


Regalami un libro rotto, un letto sporco

le leggende antiche del bosco.


Regalami onde ed effluvi

la speranza e i suoi barlumi.


In respiri ricambierò

dalla carne abdicherò.



Lontane


Urlare le nostre identità

senza nome, a spada d’inchiostro

cavalcando montagne di nero fumo

con picconi feriti.


Tra feritoie fiorite, la fierezza prende slancio

affinché sia voce d’aquila a pronunciar sentenza

in ascolto noi, finalmente

dell’eco acuto della verità

sopra le cime ribelli, sferze come carezze.


Il mostro riposa, adesso

in stato comatoso permanente

sul letto delle cause perse

sepolcro di reali mali.


E le madri, in fila alla cassa

a cui pensieri piromani sottraggono

potere d’acquisto

e le figlie, piume al vento

nel firmamento

lontane dall’accanimento.


Si salvi chi si salva.



FIRMA


Non scartarmi, leggimi.

Nessun pacco, solo una busta

sono la busta e la lettera dentro la busta

prendo meno spazio e più tempo

come i film

puoi scommetterci.

Non griderai - sorpresa -

non umilierai l’attimo senza apprezzarne

l’eterna forma,

violento sui lembi di carta festosa.

Ma ti prometto

Troverai un volto e un’intenzione, come firma.


(diamoci tempo, leggiamoci, scartiamoci)



Fuoco


Hai gli occhi rossi

fratello mio

stanchi

te li ho bruciati per dolo.


Di sbaglio c’è solo

che siamo vivi entrambi

tu fermo

ed io mi muovo.


Sulle tue ossa contratte

un’altra pioggia di cenere.


(ogni bosco in fiamme porta via un pezzo della nostra anima)



Apocalisse


Uomini che non hanno umanità.

Uomini che la perdono così,

in un soffio di secondo, dopo cena, dopo il bacio della buonanotte.


Situazioni che sfuggono

prima che al controllo

alla comprensione

all'accettazione

all'analisi.

Uomini che non sanno analizzare, analizzarsi.


Non possono scappare

non hanno gambe

sono fragili, malconci, malati.

Allora, che fare?

Che fanno?

Soluzioni maschie, brute, veloci

sostituire alle gambe le proprie mani

al cuore la testa, che corre più feroce,

scalza tra i rovi, ferita.


Pensieri di fuoco e mani ferme, sulla preda. Sulle prede.

Non importa chi, importa adesso, il momento, il gesto importa.

Far uscire la voce.

Far uscire il mostro.

Cieco, sordo, urlante, incasinato.

E così poco male se si muore, bene anzi, morite tutti,

pensano gli uomini malati,

morite con me, che non so stare,

che non so vivere.

Venite a me, vicino, devo sentire quel fiato che vi ho donato

partire

ecco perché stringo, ecco perché non lascio, figli miei.

Andrà meglio lassù, laggiù, dove finiremo, nel nulla.

Lì non potranno dirmi che sono sbagliato,

sarà tutto a modo mio, senza regole, senza tegole.

Non servirà tetto e neppure camino, il cane lo ha capito per primo.


Gli uomini tentano di seguirle le regole

per un po'.

Ce la mettono tutta, dicono.

Ma sono malati e nessuno se ne accorge.

Nessuno vuole vedere. Magari non ci sono segnali,

chissà.

Resta un buco, un abisso,

una voragine.

Restano domande di piombo e risposte mute.

E noi

che

per l'ennesima volta

perdoniamo, scusiamo, ignoriamo.

Ci aspetta qualcuno al ristorante, al centro commerciale,

non abbiamo tempo. Né voglia. Né palle.

E intanto scavano le pale, fosse sempre più piccole,

al cimitero

mentre gli angeli aspettano

di scaraventarci addosso l'Apocalisse.


(figlicidi)




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