Fabio Barissano - Nasce nel 1983 a Napoli dove lavora come insegnante. Suoi testi poetici hanno ricevuto premi, menzioni e segnalazioni in diversi concorsi letterari. È risultato tra i finalisti della IV edizione del Premio Poesia a Napoli. Altri suoi componenti appaiono nella rivista Kairos e sul blog di poesia Alma Poesia.
Ultimi
Ultimi, senza luce di poveri,
tramandano polvere, nodi nel vento,
piangono lune e adombrano
la catenina degli sguardi
bassi rivolti a sedurre
chiunque li guidi o piloti
per mano lo spazio, o con una
cannuccia delinei sul letto
il lenzuolo sul corpo, aderente.
Persino vedono il mare
quello minuscolo e vivo
nelle gallerie degli orologi,
cercano una libertà, almeno
che tentacoli precari non
incatenino un bacio di ventosa
livido a un torso di marmo.
Ultimi, ci tengono a parlarci,
telefonano, scrivono, inanellano
insuccessi seriali e tremano
se per un posto ci azzanniamo
bluastri perduti nel freddo.
Inutili
Noi non possiamo aiutarvi,
inutili, per noi siete in proiezione
di luce trasporto di popolazione
per vostre migrazioni sanguinose,
quando la notte vuole addormentarsi
chiudendo l’occhio in croce di un pianeta
e i grecali raccontano leggende
di un buio di valli,
pupille in rifrazioni di pinete,
cacce galanti, paure di paese.
È qui che ci addormentiamo,
inutili, a un risalire verso
greppie innamorate sopra lune
a un consentire di cieli rossi. Così
vediamo da lontano la città
nel diniego abile del vento, inutili,
e un bucato di maniche incurvarsi
nell’aria gialla sapone di marsiglia,
dai cretti di periferia, una
larga serenità responsoriale
d’impronte nell’argilla, maria in cielo.
Così sempre ai fatti distanti, sotto
luna diurna dai pencolanti
occhi di lumaca ci abbeveriamo
ai pascoli celesti se il male non c’è
per noi che non più profetiamo,
noi inutili…
Gli indifferenti
Fummo chiamati
senza capire, roccia
feconda di concili
a un displuvio d’acque,
imprigionati amammo
le mura di un corpo. Indifferenti
a un enigma quanto
a una sceverata verità,
per noi era il cielo
piegato a una mano
sulla città,era il paesaggio
e l’urlo nel paesaggio.
Sfondato il petto, nemico
ci guardava il pellicano; ombre
mossero a tentacoli
su case: fu il gioco
del silenzio e il più bravo di tutti
non parlava.
Non racconteranno la paura
del pianeta buio in corridoio
senza fregio d’areopago, senza
grazia e soltanto viltà. Un occhio
socchiusero i guerrieri,vinti
e sanguinanti tra le piume.
Falsari
Per sentire l’azzurro ci vestiamo
marroni, di cenci, arresi
alla visione che fa gli infreddoliti
alberi nella nebbia del viale,
e la mattina chi andava avvolto,
sciarpa rossa e mani con geloni
in tasca, risognò gioite rose,
polvere congelata ed aria chiara,
a un medioevo di neve. Quadrati, alla moda,
marciamo bagnati di luna
che ha un colletto di pini
e metà sfera d’acqua.
Eravamo bambini e in noi brillava
viva un’intuizione, ed ora lume
di borraggine appanna i raggi in cielo.
Falsari innamorati,
si cambia, un occhio all’orologio, l’altro
a un’antica città, quasi
un cappello sfumato in cima al colle,
o alba di pietra,
che riscintilla in noi dimenticata.
Ma non dimenticati noi che figli
siamo d’un tempo
ch’erede d’ombre in luce ci precede.
Sul bus
Le cose le vediamo una volta
a questo mondo, poi
decorsi i termini d’ospitalità
lasciamo il campo, il corpo
attinto da un colpo di pistola
trema, fa metafore di rosa,
antifonari a una riga di rimmel.
Si cresce in fretta, traccia
di un innesto già lucido
e svelto a darsi un nome
prima ancora che un fiore.
Ma ci minaccia la natura
con la sua perfezione, le sagome
esagonali dei favi, il grido
raggiato del cristallo di ghiaccio.
Siamo muti, di luce acrobata
nella tensione elastica dell’acqua,
a un destino di luna che bagna
rovine che ha corna ricurve
e un sorriso caprino. Sul bus
dove un cartello dice, in stampatello,
non parlare al conducente.
Sei lì
C'è un tempo di burrasca sul tuo mondo,
solleva il cielo sull'oceano
una cervice taurina, moto
velato di rupi e un attimo la casa
salta agli occhi pei
moti sacca dici. Tu sei lì,
il tuo balcone sulla frana duplice
nel campo di fortuna,
cercavo chi non mi assomiglia,
dalle gole lontane
strofe sagomate di leggenda
lontane dal cippo
della via consolare. Tu sei lì,
se ai tuoi occhi
circola dietro un passaggio di cielo,
parola che ci conduce
lontano dal padre, dai fratelli, e fatti soli
ci hai colmato dei tuoi ripensamenti,
del buio serale delle attese.
Lì,al graffio di un nume remoto
a dirci che sei muto
ora che ce ne andiamo.
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