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Homo Scrivens

Edgar intervista Lugi Pachì

Aggiornamento: 27 mag 2021

In occasione dell’anniversario della nascita di Sir Arthur Conan Doyle, Edgar, la rivista online di genere di Homo Scrivens, diretta da Giancarlo Vitagliano, dedica gran parte del suo terzo numero a colui che è il massimo esponente se non il simbolo stesso della detective story: Sherlock Holmes.

Oltre a pubblicare notizie, saggi brevi e curiosità, includiamo anche un “introvabile”, un racconto holmesiano scritto da Barrie, il celebre creatore di Peter Pan.

Per celebrare questa ricorrenza, ci rivolgiamo dunque al massimo esperto di Holmes in Italia (e non solo…): Luigi Pachì, che con la sua attività sherlockiana con DelosDigital e i suoi puntuali e preziosi interventi sulla collana da edicola Sherlock (Giallo Mondadori) studia e orienta da anni storia e testi del grande detective londinese.


Partirei da una domanda obbligata: c’è un momento esatto in cui Sherlock Holmes è entrato nella sua vita?


In realtà i momenti sono due e ben distinti. Il primo risale all’età adolescenziale, quando ho scoperto il protagonista della Londra vittoriana creato da Sir Arthur Conan Doyle attraverso la lettura delle sue avventure, supportato anche da qualche vecchio film di Basil Rathbone. Successivamente, tra il 1988 e il 1990, ho passato tre anni a Londra per la multinazionale americana d’informatica per la quale allora lavoravo. In quel periodo ho acquistato su una bancarella l’intero canone holmesiano in lingua inglese che mi ha tenuto compagnia per molto tempo. Inoltre, era il periodo in cui il canale tv BBCOne stava trasmettendo settimanalmente gli episodi della Granada Television con l’insuperabile Jeremy Brett nei panni di Sherlock Holmes. Da quel momento il consulting detective di Baker Street è entrato definitivamente nella mia vita… E da semplice fruitore qualche tempo dopo ho dato inizio a diverse iniziative a lui dedicate: una prima collana edita dall’allora Solid editore di Torino (Il club di Sherlock Holmes), un mio primo saggio, un sito tuttora attivo con informazioni quotidiane sull’universo di Holmes e il mystery (www.sherlockmagazine.it), la relativa rivista cartacea e la curatela di collane e svariate antologie di racconti per editori come ad esempio RCS/Fabbri, Mondadori e le stesse Delos Books e Delos Digital per le quali sono uno dei tre soci fondatori.


In Italia, i cosiddetti “apocrifi” non sembrano ricevere l’attenzione e il prestigio che meriterebbero, con una tendenza diffusa a non liberare il personaggio dal suo autore. Con Holmes invece avvertiamo un atteggiamento diverso, e un interesse costante, che deve anche molto al rigore e al lavoro di selezione di scrittori come lei, che hanno sempre difeso l’ortodossia del personaggio e del canone, risparmiandoci banalità e deviazioni. Mi sembra però che queste ultime siano spesso presenti invece in altri media, dove Holmes è talvolta poco più che una traccia di partenza, per altro facilmente spendibile sul mercato. Lei trova che esista fra libri e altre forme di narrazione una reale biforcazione, e nel caso cosa ne pensa?



L’arte dell’apocrifo sherlockiano non è certo semplice. Scrivere un apocrifo sherlockiano senza fare passi falsi però è certamente possibile. Certo occorre prepararsi con attenzione, studiandosi al meglio la storia e la cronologia holmesiana per poi cercare di rappresentarla attraverso alcuni punti basilari. Occorre, in altre parole, adeguarsi a dei criteri che possiamo definire di “coerenza” al canone. Serve, per esempio, lavorare bene sull’atmosfera, così come sull’ambientazione, la caratterizzazione e l’inquadramento storico dato da Sir Arthur Conan Doyle al suo lavoro. Fondamentale è il ritmo da dare alla storia cercando di riuscire a mettere in risalto l’arte della deduzione di Holmes. Il racconto che si ha in mente di scrivere deve essere narrato avvicinandosi il più possibile allo stile del suo biografo, il dottor Watson. L’attenzione va poi posta alle espressioni idiomatiche in modo da non deformarle. La cosa più importante è evitare di cadere in contraddizione col lavoro di Conan Doyle: deve, invece, fare riferimento a esso, cercando di esplorarne gli aspetti nascosti, meglio ancora se l’apocrifo tende a chiarire alcune delle contraddizioni interne al Canone. Devo dire che in questi anni, tra i quasi trecentocinquanta apocrifi che ho selezionato per la collana in eBook Sherlockianae l’ottantina di romanzi holmesiani proposti per la collana Il Giallo Mondadori Sherlock ho trovato queste regole basilari applicate con grande dovizia. Ovviamente poi le singole trame possono piacere o meno al lettore, ma qui si entra nell’ambito della soggettività, anche se trovo che difficilmente quanto pubblicato non abbia avuto qualcosa di nuovo da aggiungere ai lavori di Conan Doyle. Tuttavia ammetto che mi è capitato anche di dover non accettare lavori di autori internazionali, poiché troppo “estremi” anche per i fan di Holmes non fondamentalisti.

Sul tema degli altri media in effetti di banalità e deviazioni ce ne sono tante. Basti pensare come esempio ad alcuni lavori televisivi relativi alle serie Elementary, Gli Irregolari di Baker Street, o Enola Holmes. Per non parlare di come il detective di Baker Street viene trattato da certa cinematografia. Credo però che tutte queste biforcazioni, indubbiamente più facilmente proponibili sul mercato, in un certo senso possano comunque far avvicinare tramite la loro visione le nuove generazioni al personaggio letterario, spronandole a leggere anche le sue avventure originali e gli apocrifi.


È opinione diffusa che uno dei motivi di una così diffusa ripresa del personaggio Holmes sia nelle ampie zone grigie del Canone, nei tanti spunti appena accennati dall’insinuante scrittura del dottor Watson. Avventure, ma anche comparse e personaggi, che hanno poi dato il via a sviluppi imprevedibili e anche azzardati, penso ad esempio a Irene Adler, divenuta icona tardo-decadentista, ma anche alla signora Hudson, protagonista di brillanti pastiche letterari. C’è per lei un limite netto e riconoscibile fra abuso e innovazione? E quali sono, nella percezione popolare, per lei gli “errori” più diffusi?


Domanda molto interessante. Il limite, secondo me, viene posto dal singolo lettore. Quelli che chiamo fan fondamentalisti leggono e studiano praticamente solo il Canone, e ne conosco diversi. Poi vi sono appassionati di livello intermedio che apprezzano come gli autori di apocrifi sappiano pescare in quelle “zone grigie” di cui lei parla (e ve ne sono parecchie nel canone) per poter sviluppare nuovi casi e avventure che coinvolgono Holmes nell’affrontare ciò che Doyle solo accenna attraverso poche righe nei suoi 56 racconti e 4 romanzi. Si veda per esempio il Ratto gigante di Sumatra abbozzato in “L’avventura del vampiro del Sussex” o la sparizione improvvisa di James Phillimore ne “L’enigma di Thor Bridge”, in cui Doyle scrive: “Fra questi racconti senza una fine c’è quello del signor James Phillimore il quale, rientrato in casa per prendere l’ombrello, svanì dalla faccia dalla terra”. C’è poi tutto il mondo dei pastiche nei quali Holmes incontra personaggi storici realmente esistiti. Questo è un ulteriore filone che può piacere o meno e dove rientrano opere come La soluzione sette per cento di Nicholas Meyer e la serie American Literati di Daniel D. Victor, giusto per fare due esempi, anche se potremmo andare avanti a oltranza su questa tipologia di pastiche. Infine abbiamo i fan di “bocca buona”, lettori che trovano piacere nel leggere di Holmes sia quando lo scopriamo sposato a Lady Beatrice, nella serie di Geri Schear, sia quando Barry S. Brown propone una serie di romanzi in cui la signora Hudson si trasforma in abile detective e utilizza i suoi due inquilini come “strumenti” di indagine. Oppure ancora quando si trova nel bel mezzo di situazioni fantastiche/fantascientifiche; penso al mashup con l’opera di H.P. Lovecraft nella trilogia di James Lovegrove, o a romanzi tipo La Guerra dei mondi di Sherlock Holmes del duo Manly Wade Wellman e Wade Wellman.

Non possiamo parlare di errori da parte di autori e sceneggiatori, quando poi il mercato risponde positivamente a ciò che gli viene proposto. Sarà sempre il lettore, con la sua predilezione e approccio verso ciò che legge, a determinare fino a che punto accettare le regole che si spingono oltre “il grande gioco”. L’importante è che lo scritto porti con sé almeno qualcosa di aggiuntivo rispetto al canone e non sia solo una copia pedissequa di quanto già scritto. Anche per questa ragione ho voluto realizzare proprio in questo periodo il saggio di quasi 600 pagine Nuove mappe dell’apocrifo dove identifico un percorso di letture mirato tra autori internazionali e di casa nostra. Chi volesse approcciarsi al mondo di Sherlock Holmes e anche ai suoi tanti apocrifi vi troverà qui tutte le informazioni necessarie.


Fra gli infiniti detective letterari che in questi anni si continuano a passare il testimone, c’è qualcuno che trova particolarmente affine, pur nelle differenze, a Holmes?


Sono un lettore che preferisce il giallo di tipo classico, quindi mi piace leggere – quando ho tempo - le opere in cui la deduzione gioca un ruolo importante. Tra i personaggi che preferisco figurano Hercule Poirot e Nero Wolfe. Credo sostanzialmente che sia piuttosto difficile trovare grossissime affinità con Holmes nella letteratura noir di oggi: alcuni tratti, però, si possono vedere emergere. Tra i testi più moderni, anche se il personaggio di Eco non è un vero detective, inserirei Guglielmo da Baskerville. Mentre più che ai detective alla Holmes guarderei invece ai tanti commissari, questori e vice-questori che nel loro DNA letterario si portano appresso – magari inconsapevolmente – piccole pezzi del carattere e della psicologia di Holmes, dove a volte le regole lasciano spazio all’istinto. Penso al Montalbano di Camilleri, al vicequestore Schiavone di Antonio Manzini,al Dante Torre di Sandrone Dazieri, Il commissario De Vincenzi, di Augusto De Angelis, al commissario Vivacqua di Carlo F. De Filippis…


Altra domanda impossibile: se dovesse consigliare la lettura di solo tre apocrifi, a quali testi penserebbe?


Ecco, appunto: domanda impossibile! Diciamo allora che questa settimana propongo: Sherlock Holmes e la peste di Londra di David Stuart Davies La Soluzione Sette per Cento di Nicholas Meyer Uno studio in nero di Ellery Queen Aggiungo anche due bei romanzi apocrifi italiani: L’uomo che morì due volte di Luca Sartori e Sherlock Holmes e il furto della Gioconda di Daniele Pisani.


Chiuderei con una nota personale. Le è mai capitato di avvertire il peso di tanto impegno e dedizione per Holmes? Nella sua carriera da scrittore, nella sua attività professionale, ma anche nella sua vita privata, le capita a volte di riflettere su quanto ha dato a questo monumento di carta, e magari esitare, o sentirne il peso?


Dal 1978 mi occupo di fare divulgazione nell’ambito della letteratura popolare. Ho iniziato a Milano con trasmissioni radiofoniche, fanzine, interviste agli autori stranieri, ecc. parlando di letteratura d’anticipazione, per poi passare al giallo classico. Dall’amatorialità di quelle attività sono successivamente diventato un curatore “vero” per alcune case editrici, fino a essere editore e consulente editoriale per Mondadori. L’impegno oggi è davvero molto, con la curatela di svariate collane holmesiane (e non) dalla periodicità settimanale, la rivista, il sito, il premio letterario anch’esso dedicato a Sherlock Holmes, il programma su YouTube, le appendici mensili per Mondadori… Fare lo scouting, leggere i testi, gestire i contratti e i traduttori è un vorticoso susseguirsi di scadenze che sempre più spesso mi fa capire che la leggerezza nel godersi un personaggio immortale come Holmes appartiene ai vecchi tempi di quando ero a Londra. Il peso si sente, eccome! Ma chissà: magari andando in pensione tra qualche anno troverò la forza e il coraggio di smettere con tutto questo e finalmente potrò leggere i libri che scelgo io e non quelli che mi vengono spediti ogni settimana da editori/agenti stranieri e dai sempre più numerosi autori italiani.


Intervista a cura di Aldo Putignano

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