La silloge può essere interpretata come una fenomenologia del dolore e della perdita. A costituirla sono tre momenti – L’onda, Acqua di foce e I guadi –, nei quali risalta la metafora dell’acqua, divisa per intensità di flusso, e ribaltata nel suo tradizionale tragitto, non più verso l’esterno marino, bensì verso l’interno fluviale, così come il dolore dell’io poetico affronta le sue fasi burrascose e, poco alla volta, meno laceranti, in un graduale tentativo di ricostruirsi dopo lo sgretolamento delle antiche certezze, tanto amorose quanto esistenziali.
Pathei mathos, scriveva Eschilo: attraverso il patimento, si ottiene la conoscenza.
Ed è ciò a cui mira questo viaggio nella notte di sé stessi, dove accogliere il buio significa anche raggiungere una nuova e pacifica consapevolezza.
«Ed in uno stato di sospensione tra il crollo e la necessità di una nuova edificazione il perno intorno a cui ruota l’intera opera. In questa fenomenologia del dolore e della perdita, come la definisce Arciprete, apparentemente ci sentiamo travolti dall’abbandono, quasi paralizzati nell’istantanea dell’addio, dal rumore dello schianto; ma se ascoltiamo con attenzione, sentiremo che intorno a noi riecheggiano il suono dei martelli, dei chiodi, degli strumenti della ricostruzione. Ed ecco che il fiume torna a scorrere, nel suo sciabordio di sedimenti e gusci vuoti, ma anche di uova e insetti».
(dalla prefazione di Achille Pignatelli)
È entrata in me la Notte - Emanuele Arciprete
9788832784381