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Penna e mare



di Giancarlo Marino


Ormai l’estate è nel pieno e si avvicinano le ferie agostane: sicuramente molti lettori sceglieranno di rilassarsi tra le pagine di un buon libro sulle spiagge della penisola, allora perché non rinfrescare la mente con un po’ di letteratura di mare?

Fin della sua nascita, il rapporto tra l’uomo e il mare è sempre stato strettissimo, non fosse altro perché quella che noi oggi chiamiamo Terra, in realtà, è un pianeta composto quasi del tutto di acqua. Per questo, l’uomo, animale narrante per antonomasia, ha usato spesso come sfondo ma anche e soprattutto protagonista delle sue storie la distesa d’acqua salata che sommerge il pianeta blu. Basti pensare all’episodio biblico di Giona divorato dal pescecane per aver infranto un divieto divino oppure ai poemi omerici: già nell’Iliade, troviamo una sorta di enciclopedia marittima ante litteram, con insegnamenti di navigazione, sulla fabbricazione delle navi, per poi approdare, mi si perdoni il gioco di parole, all’Odissea, vero e proprio modello di tutta la letteratura odeporica (e marittima) occidentale.

Venendo all’età moderna resta fondamentale il Robinson Crusoe di Defoe capostipite del romanzo d’avventura che unisce all’escapismo della cosiddetta letteratura d’intrattenimento un’importante riflessione sulla condizione dell’uomo che si affaccia (è stato scritto nel 1719, in pieno Illuminismo) alla modernità, un’isola sconosciuta priva delle certezze metafisiche degli evi precedenti, dove l’essere umano può contare solo sul proprio ingegno, proprio come il naufrago Robinson,

Un secolo dopo, con Moby Dick (1851) Melville traccia il senso di un’epica moderna attraverso la vicenda del capitano Achab ossessionato dalla balena bianca (in realtà un capodoglio) responsabile della prematura dipartita della sua gamba. Melville, utilizzando una lingua debitrice non solo dell’epica classica ma soprattutto del Vecchio Testamento (non bisogna dimenticare che l’accenno più importante al Leviatano, il mostro marino per antonomasia, risale al Libro di Giobbe), ha composto una miscela di avventura e indagine psicologica che ha suscitato nei decenni successivi oceani di inchiostro da parte della critica psicoanalitica.

Addentrandoci nelle profondità abissali e letterarie, non si può non menzionare Jules Verne, il vero padre della narrativa d’avventura ottocentesca. Ventimila leghe sotto i mari (1870) è il secondo e più noto capitolo di una trilogia (preceduto da I figli del Capitano Grant e seguito da L’isola misteriosa) dedicata alla letteratura di mare dall’autore di Nantes, dove stavolta il mostro non è fatto di pinne e setole, bensì di acciaio e bulloni. Il libro narra l’epopea del capitano Nemo, comandate del Nautilus, il più famoso sommergibile della storia della letteratura.

Esaminando la letteratura di mare, non ci si può esimere dal menzionare i più avventurosi e famigerati esploratori, e saccheggiatori, degli oceani: i pirati. Il testo fondamentale che consigliamo ai lettori homoscriventi è naturalmente L’isola del tesoro (1883) di Robert Louis Stevenson che ha tracciato una figura indelebile nel cuoco bucaniere “Long” John Silver, pirata dalla morale ambigua e sfaccettata. Tale è la fortuna di questo personaggio da aver contributo a creare il vero e proprio archetipo del pirata nell’immaginario occidentale, al punto da essere stato ripreso ai giorni nostri da Bjorn Larsson, scrittore e velista svedese, ma italiano d’adozione, che ha scritto un vero e proprio sequel dell’Isola del tesoro: La vera storia del pirata Long John Silver (1995).

Non tutti gli scrittori della narrativa di mare hanno avuto un’esistenza avventurosa al pari dei propri personaggi. Se Stevenson visse gli ultima anni della sua esistenza nelle isole Samoa, nel Pacifico meridionale, altri invece, scrissero di isole e continenti lontani senza muoversi dallo studio di casa. È il caso del nostro Emilio Salgari: a parte una breve crociera nell’Adriatico, lo scrittore veronese concepì il ciclo di Sandokan, la Tigre di Mompracem, basandosi esclusivamente su ricerche bibliografiche. Nonostante qualche strafalcione marchiano nei riferimenti storico-geografici, Salgari è il principale esponente della narrativa avventurosa italiana, e in particolare della narrativa di mare. Infatti egli narrò non soltanto vicende ambientate nel sud-est asiatico, ma con il ciclo dedicato al Corsaro Nero impresse la sua penna nel calamaio principe di tutte le vicende piratesche: il Mar dei Sargassi.

Che si tratti dell’Atlantide platonica, o dell’isola misteriosa di Lost, l’immaginario letterario dell’uomo è sempre stato affascinato dal mare, e così, cari lettori homoscriventi, che vi troviate su un’affollata spiaggia della Riviera o in una cala solitaria in Cilento, il nostro consiglio è di lasciarvi cullare dalle pagine di un buon libro di mare, perché come ha scritto Baudelaire: il mare, all’uomo libero fu sempre caro.

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