Prefazione a Il continente perduto di Edgar Rice Burroughs
di Carmine Treanni
Per convenzione, il punto di origine della fantascienza è considerato il primo numero della rivista Amazing Stories, uscito negli Stati Uniti il 5 aprile del 1926. Un pulp magazine – le riviste che fiorirono tra la fine dell’Ottocento e l’inizio della Seconda guerra mondiale, che si caratterizzavano per il prezzo molto basso e per essere stampate su carta di polpa di legno, ricavata dagli scarti delle fibre di legno, che ingialliva abbastanza rapidamente ed era di pessima qualità – ideato dall’editore americano di origini lussemburghesi Hugo Gernsback, sul quale venivano pubblicate sia storie di autori contemporanei sia quelle classiche di autori come Edgar Allan Poe, Jules Verne e Herbert George Wells, considerati dalla maggior parte dei critici come i primi e più significativi scrittori di fantascienza.
Con Amazing, Gernsback intendeva pubblicare un certo tipo di narrativa, che era già emersa qua e là su varie riviste, che mescolava profezie sul futuro e aveva la scienza e la tecnologia come punti focali della storia. Un genere che chiamò in prima battuta scientifiction e che poi divenne in seguito science fiction, la cui traduzione italiana, dovuta al primo curatore della collana Urania della Mondadori, Giorgio Monicelli, è per l’appunto fantascienza.
Sempre convenzionalmente, tutta la narrativa che è stata pubblicata prima del 5 aprile 1926 viene etichettata come protofantascienza, dal greco pròto che significa primo in ordine di tempo e di spazio. Ebbene, se guardiamo agli autori di fantascienza prima della comparsa del termine scientifiction e della rivista di Gernsback, sono solo tre coloro che possiamo dire autenticamente popolari, perché letti e famosi presso un vasto pubblico: Jules Verne, Arthur Conan Doyle e Edgar Rice Burroughs. Escludiamo da questa terna il nome di Doyle, perché nonostante sia l’autore di alcuni notevoli racconti e romanzi di protofantascienza, la sua fama è quasi totalmente ascrivibile alla creazione del personaggio di Sherlock Holmes, uno dei più famosi investigatori della narrativa crime. Restano Verne e Burroughs. A tal proposito, lo storico della fantascienza Sam Moskowitz attribuisce una fama superiore a Burroughs[1], in virtù della creazione dell’immortale personaggio di Tarzan, protagonista di ben ventiquattro romanzi pubblicati tra il 1912 e il 1965, ma anche dei romanzi fantascientifici, alcuni raccolti in veri e propri cicli.
Nato a Chicago, Illinois, in una famiglia benestante, la vita di Edgar Rice Burroughs potrebbe essere essa stessa la trama di un romanzo d’avventura, in quanto è la storia di come la caparbietà di un uomo può fare la differenza, soprattutto in una nazione, quale era l’America d’inizio secolo, che mutava pelle, passando dalla polvere dei territori aridi dove è nato il mito del selvaggio West a quella prodotta dalle fabbriche delle prime automobili, che avevano in Henry Ford e la sua filosofia sociale – che promulga alti salari per gli operai, per consentire a tutti di acquistare beni di consumo, come la mitica Ford Model T, la prima automobile accessibile alla classe media americana – un punto di riferimento imprescindibile e simbolo della modernizzazione del paese.
Il padre di Edgar, George Tyler Burroughs, era un veterano della Guerra Civile e un fabbricante di batterie. Il giovane Edgar frequentò diverse scuole private, ma con scarso successo, tra cui la Michigan Military Academy, Orchar Lake (1892-95), dove fu istruttore e assistente comandante (1895-96). Prestò poi servizio nella 7a cavalleria nel territorio dell'Arizona (1896-97) e nella milizia della riserva dell'Illinois (1918-19), dove presumibilmente venne a conoscenza di molte storie di soldati che avevano combattuto i Sioux e gli Apache.
Dopo la parentesi militare, il futuro scrittore intraprese numerose attività e lavori: divenne proprietario di una cartoleria a Pocatello, Idaho (1898), e poi ebbe rapporti con l’American Battery Company, Chicago (1899-03). Nel 1900 sposò Emma Centennia Hulbert, da cui divorziò nel 1934, non prima di avere tre figli, due maschi e una femmina. La famiglia visse quasi sempre in povertà e Burroughs svolse per dieci anni molti lavori: fu associato alla Sweetser-Burroughs Mining Company in Idaho (1903-04), poliziotto ferroviario a Salt Lake, Utah (1904), un manager di un dipartimento stenografico presso Sears, Roebuck and Company a Chicago (1906-08), socio di un’agenzia pubblicitaria (1908-09), capoufficio (1909), socio di una ditta di vendita (1910-11). Nel 1910-11 Burroughs lavorò per la Champlain Yardley Company e dal 1912 al 1913 fu direttore del System Service Bureau.
La successiva iniziativa di far funzionare una ditta per la vendita di temperini, puntualmente fallita, lo porta addirittura sull’orlo del suicidio. Ma in questo periodo avviene la svolta della sua vita: la pubblicazione del suo primo romanzo. Burroughs, che ha 35 anni, si convince di poter scrivere narrativa meglio di quanto non facessero gli autori dei pulp magazine che era solito leggere:
Se la gente veniva pagata per scrivere quelle schifezze che leggevo, allora ero capace di scriverle anch’io. Ero assolutamente sicuro di saper scrivere storie altrettanto divertenti e probabilmente anche migliori di quelle che mi capitava di leggere su quelle riviste[2].
Con queste parole ricorderà, anni dopo, il momento in cui decise di dedicarsi alla letteratura, quando scrisse nel 1911 il suo primo romanzo, Sotto le Lune di Marte (Under the Moon of Mars), pubblicato a puntate sulla rivista All-Story nel 1912.
Anche la pubblicazione di questa prima avventura marziana è stata picaresca. Burroughs spedì il testo firmandolo con lo pseudonimo di Normal Bean (Tipo Qualsiasi), quasi a volersi mettere al riparo dall’ennesimo fallimento professionale, ma quando venne accettato e uscì la prima puntata il nome venne modificato per un errore dello stampatore in Norman Bean[3].
Il romanzo ha per protagonista il valoroso capitano John Carter che dalla Virginia del selvaggio West si ritrova misteriosamente catapultato su Marte. Qui, da tempi memorabili, le varie tribù aliene che abitano il Pianeta Rosso, che gli indigeni chiamano Barsoom, combattono un’eterna lotta tra di loro, in un’era sospesa tra tecnologia e pseudo medioevo. Dopo mille avventure John Carter si innamora di Dejah Thoris, la principessa di un popolo che sta per essere sopraffatto dalla tirannia di altri marziani. Carter, con ogni mezzo, tenterà di riportare l’ordine su Marte.
Non c’è dubbio che lo scrittore americano venne influenzato da almeno due visioni di Marte che nei decenni in cui visse erano ben presenti sia sui mass media dell’epoca sia tra le persone colte: quella dell’astronomo italiano Giovanni Virginio Schiapparelli, che osservò e formulò l’ipotesi che su Marte fossero presenti dei canali, ma forse ancor di più da quella dell’astronomo americano Percival Lowell. Le sue tre opere sul pianeta rosso – Mars, del 1895; Mars and Its Canals, del 1907; Mars as the Abode of Life, del 1908 – hanno influenzato decine di scrittori di fantascienza. In esse, infatti, si descrive Marte come un pianeta arido, abitato da marziani intelligenti e prova ne sarebbero i cosiddetti canali che per Lowell erano artificiali e creati per portare acqua dai poli al resto del territorio marziano.
Il Pianeta Rosso non è altro, nell’immaginario dello scrittore americano, che un west esotico, in cui ai cavalli si sostituiscono animali con otto zampe, agli indiani alieni verdi e alti circa quattro metri e pistole laser alle classiche colt.
Ecco come il critico Salvatore Proietti ha ricordato la genesi del romanzo e le sue discendenze letterarie:
Nei pulp, Marte sta prendendo la direzione del romanticismo più smaccato. Edgar Rice Burroughs sicuramente non pensa a un futuro di leggenda culturale quando, nell’estate 1911, sottopone a All-Story un manoscritto incompleto dal titolo Dejah Thoris, Princess of Mars, spinto anche e soprattutto dall’andamento fallimentare delle vendite di un tipo di temperamatite di cui era inventore. La risposta del redattore è incoraggiante, e a settembre Burroughs invia la versione definitiva, che esce a puntate l’anno successivo col titolo Under the Moons of Mars, ‘sotto le lune di Marte’. Il suo Marte, ribattezzato “Barsoom”, discende dal West di Fenimore Cooper, dall’India di Kipling e dall’esotismo di Rider Haggard, popolato da nobili pellirosse e barbari di color verde, con un protagonista e un contorno di altri baldi eroi sempre intenti a salvare donzelle seminude in eterno pericolo. C’è molto di nostalgico nella creazione di Burroughs, e per molti elementi il romanzo guarda indietro, non avanti. John Carter unisce il rimpianto per le (presunte) virtù cavalleresche dei Sudisti a quello per una Frontiera e un Ovest ormai in gran parte scomparsi dalla realtà americana. A guardare con attenzione, la fantascienza di Burroughs è molto vicina alla fantasy, a partire da quel viaggio interplanetario mai giustificato nelle modalità[4].
La critica non è mai stata benigna con il creatore di Tarzan, e non a torto. La prosa dello scrittore americano è spesso molto elementare. Poche parole che sembrano “pronunciate” più che scritte. Burroughs, insomma, non è mai stato un fine scrittore, ma gli si deve riconoscere un’inventiva unica, una considerevole capacità visionaria che si esplica in situazioni e colpi di scena a ripetizione. È quel che si definisce uno scrittore di narrativa popolare, che ha saputo regalare ai lettori ciò che volevano in termini di avventura ed evasione. Non a caso, come ricorda Moskowitz a proposito di Sotto le Lune di Marte:
Era, alla lettera, la trascrizione su carta dei sogni a occhi aperti cui si abbandonava l’autore per dimenticare il fallimento avvilente della propria vita quotidiana. Unendo a questi sogni le sue doti innate di narratore, tali fantasticherie servirono a rendere sopportabili ad altre persone i loro problemi[5].
Il romanzo ripagò lo scrittore americano del periodo difficile da cui era passato con un successo enorme: il direttore di All-Story Thomas Metcalf per la pubblicazione offrì a Burroughs 400 dollari, una somma fuori dal comune per l’epoca, anche se fu proprio lui a decidere di cambiare il titolo in Under the Moons of Mars (la versione del romanzo in formato libro verrà poi intitolato A Princess of Mars), pubblicandola in sei puntate, da febbraio a luglio del 1912.
Sempre nel 1912 e ancora su All-Story appare a puntate Tarzan of the Apes (in italiano Tarzan delle Scimmie), il romanzo che lo ha reso tra gli scrittori più popolari in America, e non solo, per tutto il Novecento.
Il protagonista è John Clayton, Lord Greystoke, i cui genitori aristocratici, John Clayton e sua moglie, Lady Alice, vengono abbandonati sulla costa occidentale dell’Africa da marinai ribelli. Lady Alice muore d’infarto, dopo essere stata assalita da una scimmia, e John Clayton viene ucciso a sua volta da una grande scimmia di nome Kerchak. Il bambino sopravvissuto viene allevato da un’altra scimmia, Kala, e impara a leggere dopo aver trovato un libro tra i resti della capanna dei suoi genitori. Crescendo, scopre di essersi allontanato dalla sua gente. I loro interessi e i suoi erano molto lontani. In occasione dell’arrivo di un altro gruppo di bianchi, Tarzan trova l’amore e scopre le sue radici aristocratiche.
Oltre al ciclo di romanzi su Tarzan (25 in tutto) e quello marziano, Burroughs è stato autore anche di altri cicli, tra cui quello di Pellucidar, scritto tra il 1922 e il 1963 e ambientato al centro della terra, dove risiedono uomini ancora allo stadio dell’età della pietra, quello della Terra dimenticata dal tempo del 1918, ambientato su un’isola sperduta dell’Oceano Pacifico, e quello del Ciclo venusiano, iniziato nel 1934 con I pirati di Venere (Pirates of Venus).
Grazie al successo di Tarzan, Burroughs nel giugno del 1916 decise di fare una vacanza con la moglie Emma, i suoi tre figli, la cameriera, un’autista e il cane Tarzan, trascinandosi dietro tutte le comodità di una casa, riposte in due veicoli: un camion con rimorchio e un’auto da turismo. L’idea era quella di raggiungere il Maine, ma arrivati nei pressi del lago Morrison, vicino a Coldwater, nel Michigan, presero la decisione impulsiva di dirigersi invece in California. Fecero, poi, ritorno a Chicago dopo trentasette giorni di vacanza, ma lo scrittore rimase favorevolmente colpito dalle bellezze e dal clima della California, tanto che nel 1919 acquistò un grande ranch a nord di Los Angeles e lo chiamò Tarzana.
I suoi romanzi, intanto, erano venduti in tutto il mondo, compresa l’allora Unione Sovietica, anche se il genere di storie proposte da Burroughs non erano ben viste dal regime comunista.
Caso unico più che raro, nel 1923 lo scrittore americano creò una società per gestire i diritti delle sue opere, la Edgar Rice Burroughs Inc., con sede a Tarzana, anche per ridurre il monte delle tasse da pagare. La società era anche una casa editrice, tanto che lo scrittore ripubblicava spesso in volume i romanzi che uscivano a puntate sui pulp magazine. Tutti i diritti letterari delle opere vennero ceduti alla società e le azioni furono distribuite tra la famiglia. Edgar, da quel momento in poi, percepì per il resto della sua vita uno stipendio.
A dispetto dei tanti mestieri svolti e delle tante attività commerciali avviate e poi fallite, Burroughs dimostrò di essere un vero e proprio uomo d’affari, non solo perché sfruttò al meglio il successo letterario che i suoi romanzi gli portarono, ma anche perché rimase sempre proprietario dei personaggi che la sua fantasia creava, permettendogli così non solo di lanciarli al cinema, ma anche di sfruttarli commercialmente in mille modi: dalla vendita di statuette ai costumi da bagno, fino alle gomme da masticare, ma diede vita anche a un programma radiofonico e a varie serie di fumetti.
Nonostante tutto, Burroughs era comunque costretto a scrivere almeno tre romanzi l’anno, continuando a pubblicare racconti sugli amati pulp magazine, anche per continuare a tenere uno stile di vita molto alto dal punto di vista economico.
Hollywood non tardò ad accorgersi del successo di Tarzan e sfornò ben due film solo nel 1918: Tarzan of the Apes (1918) di Scott Sidney e The Romance of Tarzan (1918) di Wilfred Lucas, entrambi con protagonista Elmo Lincoln. Ma la storia di questo iconico personaggio al cinema è lunghissima, basta pensare che, dopo queste due prime pellicole, uscirono solo fino al 1929 altri due film e ben quattro serial cinematografici, ognuno formato da 15 episodi.
Il personaggio, tuttavia, esplose a Hollywood e nel mondo nel 1932, quando uscì per la MGM il primo film sonoro di Tarzan, con protagonista Johnny Weissmuller, l’atletico nuotatore e campione olimpico. Weissmuller divenne molto famoso grazie proprio al personaggio di Burroughs, recitando in Tarzan l'uomo scimmia (Tarzan, the Ape Man) per la regia di W.S. Van Dyke e in altri undici film dedicati all’uomo scimmia. La trama di questo film non era molto aderente a quella del romanzo di Burroughs, ma il grande successo del film fece sì che anche i libri vendessero come mai prima.
Intanto, nel 1927, gli abitanti del sobborgo dove era situato il ranch dello scrittore, nella San Fernando Valley, decisero di cambiargli nome in Tarzana, in omaggio proprio al personaggio di Burroughs.
Nel 1933 Burroughs fu eletto sindaco di California Beach; nel 1934 divorziò da Emma Centennia Hulbert, la madre dei suoi figli, e un anno dopo sposò Florence Dearholt, dalla quale divorziò nel 1942. Nel 1940, decise con Florence di spostarsi alle Hawaii e qui inizia l’ultima parte della sua vita.
Nel 1941, suo figlio Hulbert lo raggiunse alle Hawaii e la mattina del 7 dicembre, mentre i due giocavano a tennis, i giapponesi bombardarono la vicina Pearl Harbor, costringendo così gli americani a entrare di peso nella Seconda guerra mondiale, che già infuriava nella vecchia Europa.
Edgar aveva 66 anni, era troppo anziano per il servizio attivo, ma decise comunque di offrire il suo contributo allo sforzo bellico del Paese come corrispondente di guerra, e fu il più anziano tra coloro che seguivano la guerra come giornalisti nel Pacifico, volando tra un’isola e l’altra. Si unì anche alla Seventh Air Force, una forza aerea della Pacific Air Forces americana, durante un bombardamento.
Questo periodo della vita dello scrittore è confluito in un romanzo della serie di Tarzan, dal titolo Tarzan e la Legione Straniera (Tarzan and the Foreign Legion, 1947), scritto nel 1944, dove “l’uomo delle scimmie” vive avventure belliche più pericolose del suo creatore.
Finita la guerra, Burroughs torna in California. Dopo il divorzio da Florence del 1942, dedica i suoi ultimi anni di vita ai figli, ma continua a scrivere.
I suoi personaggi e le sue storie avevano intrattenuto tre generazioni di lettori e spettatori, dal John Carter, veterano della guerra civile americana costretto a combattere i mostruosi abitanti di Marte al David Innes, nobile squattrinato che sfida le belve del centro della terra nel ciclo di Pellucidar, dal Carson Napier, che si avventura con coraggio sul pianeta Venere a Bowen Tyler, il protagonista della Terra dimenticata dal tempo, che sfida i dinosauri e gli uomini preistorici del pianeta Caspak, fino ovviamente a Tarzan, l’uomo delle scimmie. Ma lo scrittore americano è stato anche autore di molti altri romanzi, tra cui Il continente perduto (The Lost Continent, 1916), un testo inedito in Italia, che per la prima volta viene pubblicato nella collana “Edgar” della Homo Scrivens – che si propone proprio l’obiettivo di ricoprire opere di autori della letteratura pulp poco noti, ma che hanno un enorme valore letterario ed editoriale – molto significativo, perché riassume alcune delle tematiche più importanti della poetica burroghsiana[6].
I romanzi di Edgar Rice Burroughs troveranno un nuovo pubblico negli anni Sessanta del Novecento, grazie al boom dei tascabili.
Morì il 19 marzo del 1950, mentre leggeva un fumetto nel suo letto. Secondo le sue volontà, venne cremato e le ceneri sparse davanti a un albero lungo il Ventura Boulevard di Tarzana.
Lasciò ai propri eredi una fortuna che lui stesso stimò in oltre dieci milioni di dollari[7]. Ma il patrimonio in termini di fantasia, divertimento, avventura è immenso, perché può essere stimato solo attraverso l’interesse per i suoi scritti, che è rimasto immutato nel tempo fino ai nostri giorni.
Note
[1] Sam Moskowitz, Esploratori dell’infinito. Le biografie degli scrittori che hanno fatto la storia della fantascienza, Editrice Nord, Milano, 1980, p. 131. [2] James Gunn, Storia illustrata della fantascienza, Armenia Editore, Milano, 1979, p. 177. [3] Ibidem, p. 138. [4] Salvatore Proietti, I figli di Haggard, 3: Edgar Rice Burroughs in “Delos Science Fiction”, Anno XIV, settembre 2007, Milano, Delos Digital. [5] Sam Moskowitz, Esploratori dell’infinito. Le biografie degli scrittori che hanno fatto la storia della fantascienza, op. cit., p. 131. [6] Rimandiamo il lettore alla postfazione di questo romanzo. [7] James Gunn, Storia illustrata della fantascienza, op. cit., p. 185.
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